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C'è anche l'Onu dei colbertisti

Pubblicato il 07/06/2009 @ 16:55 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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Da questo punto di vista, la telefonata tra Angela Merkel e Barack Obama con cui si é chiusa la vicenda Opel, é uno di quegli episodi simbolo, che marcano una svolta e riassumono in cambiamento epocale. Governi che partecipano al capitale di aziende automobilistiche non sono una novità, Volkswagen e Renault, tanto per dire. Ma con quella telefonata é successo un fatto nuovo: sono i governi a definire, loro, gli assetti, le dimensioni che possono avere le aziende, le aree di competenza, il flusso dei componenti. Si è andati oltre il colbertismo, che almeno manteneva viva la competizione tra campioni nazionali. Ora c’è l’Onu dei colbertisti.

La “regola” (fra virgolette, perché è discrezionale al punto d’essere una non-regola) del “too big to fail” é stata vista all’opera sovente, nella crisi. L’azzardo morale ha due risvolti: quello per cui un’azienda che si giudica abbastanza grande assume maggiori rischi sapendo che sarà salvata; e quello per cui ha un incentivo a diventare abbastanza grande da meritarsi la garanzia statale. Abbiamo visto qualcosa del genere con le banche di investimento che hanno assunto lo statuto di banche universali per potere accedere ai finanziamenti della Fed e mettersi al riparo da attacchi. Ma il Governo, se garantisce, pone condizioni: alle banche che ha salvato, regole e sorveglianze, livellamento degli stupendi. Condizioni uguali per tutte, comportamenti ovunque omogenei: così il credito diventerà una public utility.

Quella telefonata fa capire che quanto sta succedendo alle banche, potrebbe succedere anche in altri settori industriali. Nei settori maturi con economie di scala la concentrazione é normale: nei veicoli industriali, nei trattori, negli aerei, nelle turbine, nelle navi, nella telefonia mobile, il mercato é diviso tra pochi costruttori, in molti casi solo due. Nell’auto ci sono ora ancora 20 costruttori, ma due imprese hanno già distanziato le altre e si candidano a essere i protagonisti mondiali, Toyota e Vokswagen; e la pressione ecologica ha appena iniziato a farsi sentire. Se uno di questi giganti, in uno di questi settori, dovesse essere salvato, lo stato finirebbe per imporre regole come contropartita della garanzia prestata: all’auto, per ora, le regole riguardano i limiti a emissioni e consumi. Non ci vuole molta fantasia per immaginare le contropartite in termini di strategie che potrebbero venire dettate.

Si individua dunque un possibile modello stilizzato: in alcuni settori maturi la concorrenza produce una concentrazione in pochissime grandi imprese; queste – per rischi sistemici frutto della loro pervasività, conseguenze occupazionali, rilevanza strategica – sono considerate troppo grandi per fallire; lo Stato le salva ma impone controlli e strategie atte a prevenire altri fallimenti, a proteggere il danaro del contribuente, a realizzare obbiettivi di interesse generale. Di conseguenza, nelle aziende “beneficiarie” del sostegno pubblico si instaura uno stile di management conformista, burocratico.

Il disposto congiunto dell’intervento per evitare le conseguenze del fallimento di un’azienda, e della imposizione di regole e di fini considerati di interesse generale, produce un’alterazione profonda delle regole di mercato e dei meccanismi della concorrenza. Conosciamo gli “aiuti di stato” e le regolamentazioni di settore: se i due interventi agiscono in sovrapposizione, l’effetto distorcente sul mercato si moltiplica.

Il danno per il consumatore é evidente, diminuirà la varietà e quindi la qualità dei prodotti offerti. Un’azienda in cui la strategia non é più battere il concorrente, ma realizzare i fini dello stato salvatore, premia più l’osservanza che l’iniziativa. L’ossessione per il controllo moltiplicherà i livelli di management. La tendenza ad avere strutture top heavy, già presente nelle aziende che operano in mercati concentrati, non avrà più freni: gli stipendi non saranno milionari, ma moltiplicati per il numero dei percettori, i loro costi faranno rimpiangere l’era dei bonus.
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Il motore del sistema capitalistico é l’imprenditore. Tra di loro sono rari gli Henry Ford o i Bill Gates. Ma sono in tanti a credere che “build a better mousetrap” possa essere la ricetta per il successo personale: ancora oggi in America, già oggi in molte economie emergenti. Ma gli aiuti di stato spostano la competizione per le risorse, dal gradimento del consumatore al “merito” in faccia al pianificatore; la regolazione crea incertezza, e rende più conveniente applicare intelligenza imprenditoriale alla ricerca di scappatoie e spazi di rendita anziché alla produzione.. Ci sarà modo, nel nuovo sistema bancario che uscirà dalla crisi, di finanziare l’innovazione, la conquista di nuovi mercati, gli attacchi alle vecchie strutture sclerotizzate? L’industria dell’auto, soprattutto nel settore dei suoi componenti, potrebbe ancora essere una fucina di innovazioni: quanto verrà mortificata dai protezionismi che proprio gli interventi statali hanno fatto esplodere? Lo spirito schumpeteriano riuscirà a rimettere in moto quella che ad alcuni sembra un’America in dialisi?

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