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Caro Tremonti, non aver paura

Pubblicato il 08/03/2008 @ 10:47 in Consigliati e recensiti,Giornali,Il Sole 24 Ore,Libri

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Globalizzazione. Analisi e critiche

Nel suo ultimo saggio l’ex ministro dell’Economia prende di mira le politiche del capitalismo asiatico, ma dimentica il benessere generato in pochi anni.

È un messaggio o un saggio? Ne “La paura e la speranza” di Giulio Tremonti la pars destruens, in cui si descrivono le ragioni della paura, è un messaggio da leader politico, con buone radici populiste. La pars construens, in cui disegna un cammino per la speranza, è il saggio politico, di techné politiké , che traguarda problemi globali su orizzonti planetari.

La prima parte del libro parla della paura, quella indotta dal “fantasma della povertà”, quella “che ci ha portato via la speranza”. Martella continuamente il suo j’accuse contro “il mercatismo”, il pensiero unico scambiato per liberalismo. Sedotti dal “ mito dell’economia ….dominatrice assoluta della nostra esistenza, matrice esclusiva di tutti i saperi e di tutti i valori”, abbiamo accettato una globalizzazione non governata, e ora l’Europa intera subisce una sorta di colonialismo asiatico di ritorno . Il mercatismo é “la versione degenerata del liberalismo” , “l’ultima follia ideologica del Novecento […] applica al mercato la legge di sviluppo lineare e globale […] fonde insieme consumismo e comunismo […] sintetizza un nuovo tipo di materialismo storico: mercato unico, pensiero unico, uomo a taglia unica”.

Andiamo al sodo. Quando si parla di commerci internazionali, occupa il posto centrale la teoria dei vantaggi comparati, l’idea più universalmente condivisa dagli economisti da tre secoli, da Ricardo a Samuelson. Tremonti manco la nomina: ci crede o no? Abbiamo assistito alla più spettacolare esplosione di benessere economico, avvenuta in pochi anni per una moltitudine di persone. Tremonti, che cosa vuol fare regredire, i “fantasmi della povertà” di quelli che nella globalizzazione sono rimasti indietro, o la globalizzazione stessa? Al dunque queste sono le domande dirette.

Tremonti cita Einaudi che nel 1933, auspicava “istituzioni, norme di comportamento il cui orizzonte funzionale e temporale oltrepass[asse] i singoli interessi individuali”. Ma Einaudi li voleva al posto dei grandi investimenti alla Keynes (oggi alla Delors), al posto dell’intervento dello stato: Tremonti al contrario vuole proprio un “intervento pubblico più grande che mai”. Il “vecchio”(?) liberalismo avrebbe la “struttura di un vecchio orologio meccanico”; “sotto la pressione ideologica [ ….] del comunismo” avrebbe fatto propria l’idea che la vita degli uomini possa essere mossa da una legge, ”quella dello “sviluppo globale”. Ma contro le concezioni meccanicistiche sta la placida constatazione hayekiana delle conseguenze inintenzionali degli atti intenzionali, e la sua critica allo scientismo. Tremonti guarda in questa direzione o in quella opposta?

Una concatenazione di eventi intellegibile ex post non è una legge. Non segue nessun percorso predefinito la Cina quando decide di introdurre forme di capitalismo, e conosce uno spettacolare sviluppo, finanziato in massima parte dal proprio risparmio. Certo, se cresce consuma energia e materie prime; certo se aumenta la domanda aumenta il prezzo; certo così si modificano le convenienze ad esplorare e coltivare. Queste sono “leggi”, come legge è quella dei gravi: il resto è storia. Accanto al petrolio a 100 $ ci sono i jeans, non in taglia unica, a 5 €, e le auto “Nano” a 1700 €. E sarebbe questo il “colonialismo al contrario”, dall’Asia verso l’Europa? Ma colonialismo è comperare, non vendere prodotti a basso prezzo. È proprio perché conosciamo i danni del colonialismo e non vogliamo che si ripetano, che chiediamo il rispetto di standard minimi nelle condizioni dl lavoro. Forse si potevano diversamente negoziare tempi e condizioni per l’adesione della Cina al WTO, forse sono giustificabili misure temporanee che consentano aggiustamenti più graduali: ma cambierebbe in meglio o in peggio, e per chi, se sui jeans e sulle “Nano” si applicasse una “IVA perequativa”?
Parla di colonialismo, e di prezzi amministrati: ma non una parola sulle assurdità del PAC e dei dazi sulle derrate, che chiudono i nostri mercati alle uniche merci che l’Africa può esportare, e che riversa sotto costo in quei mercati il surplus della nostra produzione agricola. E poi ci domandiamo perché l’Africa resta fuori dall’internazionalizzazione degli scambi.

Chi è contro la globalizzazione, di solito si mette dalla parte dei produttori, delle paure di quelli perdenti. Tremonti non fa eccezione, ma cerca anche di mettersi dalla parte dei consumatori. Lo fa proponendo loro, in cambio dei benefici della globalizzazione, una soluzione “che sta nella politica e nel potere”, un nuovo ordine morale, provando a stimare una sorte di “effetto dell’internazionalizzazione sulla moralità”. È il tema del saggio sulla Speranza, la visione conservatrice di un moderno Joseph de Maistre: per il Ministro reggente la Gran Cancelleria del Regno di Sardegna, l’origine di molti dei mali era la Riforma protestante. Per Tremonti è il ’68: anche di questo si può dire che “liberando il popolo dal giogo dell’obbedienza e accordandogli la sovranità, scatena l’orgoglio generale nei confronti dell’autorità e al posto dell’obbedienza mette la discussione”. Ma il concetto di radici giudaico-cristiane è riduttivo della ricchezza della nostra cultura – tra Salome e il Rosenkavalier c’è Elektra, per dire -; e ignora quanto spesso e greve sia quel trattino, come ci ricordano anche recenti dibattiti liturgici. Nella visione di Tremonti – De Maistre ha un posto di rilievo la “difesa dell’identità, della memoria, della tradizione”: tanto da far indicare come modello “gli islamici che mettono in gioco la propria vita per l’islam”. Nell’entusiasmo si dimenticano i problemi che sinsorgono quando, in gioco, mettono la vita degli altri. Singolare dimenticanza per chi si trovò a fronteggiare le conseguenze sulla nostra economia dell’11 Settembre.

Il saggio è il messaggio: e siamo sotto elezioni. Può darsi che l’enfasi sui valori sia un modo utile per tenere unito il suo popolo, un po’ cattolico, un po’ conservatore, un po’ localista, un po’ deregolamentatore. Può darsi che la cornucopia di proposte, diverse delle quali pure condivisibili, sia tutto ciò che può offrire, oggi che si è appannato lo slancio iconoclasta delle “invasioni barbariche” del 94, e che l’ esperienza ha reso tutti più smagati di fronte a patti e notai. Ma c’è una parte del Paese, che non ha quelle paure, e che di speranza ne avrebbe pure di suo. Chiede cose diverse, in fondo più semplici. Alla fine del libro, penserà che deve ancora attendere.

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Il paradosso di Tremonti
di Angelo Panebianco – Il Corriere della Sera, 08 marzo 2008

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