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Caro Maccanico, sulle tlc non sono d’accordo con te

Pubblicato il 11/07/1996 @ 13:52 in Corriere Della Sera,Giornali


In Italia abbiamo un problema e un’ anomalia. Il problema e’ nelle TLC

Nell’ accingersi a mattere ordine nel sistema delle telecomunicazioni e della tv, anziche’ dalla ricognizione dei fatti e dalla fissazione degli obbiettivi, si e’ partiti da principi astratti: sapientemente usati hanno prodotto una norma che, dalle bozze che sono circolate, non si esita a definire inaccettabile. In Italia abbiamo un problema e un’anomalia

Il problema e’ nelle tlc: aprire il mercato alla concorrenza, definire prezzi per le interconnessioni, sviluppare il cavo, contenere (temporaneamente) gli appettiti di Stet, impedendole di usare la propria posizione dominante nella telefonia per occupare, alla vigilia della liberalizzazione, anche l’area della trasmissione di immagini.
E’ un problema di natura industriale. L’anomalia e’ nella Tv: un’azienda pubblica gestita dai partiti e finanziata dal canone, di cui e’ immagine speculare un’ azienda privata che ha innervato un partito. E’ un anomalia di natura politica. Il problema andrebbe risolto, l’ anomalia contenuta e isolata. Ma allora bisognerebbe riconoscerla come tale: invece si e’ voluto giustificarla e coprirla. Coprirla allargando il discorso a comprendere tutto il mondo digitale, cosa che e’ concreta quando vi operano imprese in concorrenza tra loro, astratta invece nelle condizioni italiane. E giustificarla, dilatando il concetto di pubblico servizio, paravento retorico alla volonta’ delle forze politiche di cogestire la propria azienda di comunicazioni, la Rai, facendosela pagare dai cittadini con il canone. E’ a causa della diversa natura dei loro problemi, industriale per l’una, politica per l’altra, che in Italia e’ astratto considerare tlc e tv parti dello stesso mondo della trasmissione digitale. E’ pero’ uno schema concettuale che va benissimo a Stet e a Rai : a Stet che e’ autorizzata ad espandersi nel multimediale. A Rai che puo’ entrare nel cavo e nel satellite.
Si configura cosi’ un mondo astratto, diverso dagli altri settori industriali. Se e’ diverso, naturale che questa legge lo voglia sottrarre all’ antitrust in materia di concentrazioni e posizioni dominanti: e’ il vulnus piu’ grave che questa proposta arreca al nostro assetto istituzionale. Se e’ diverso, e’ segnato dal dominio che i partiti hanno sulla Rai, e’ naturale che questa legge lo sottragga al governo. Quindi che annulli la legge appena varata, che istituisce le autorita’ e che le vuole di nomina governativa. Il metodo di nomina si merita una descrizione: due commissari, uno della maggioranza e uno dell’ opposizione, nominati dalla Camera, in carica per 6 anni; altri due nominati dal Senato con una sfasatura di 3 anni; il presidente eletto con maggioranza di 2/3 alternativamente da Camera e Senato.
Cioe’ maggioranza e opposizione bloccate in un accordo obbligatorio, garantito oltre gli esiti di future elezioni. Questo mondo separato deve essere retto da un’ autorita’ unica. Una nella sua sostanza, ma trina negli accidenti. Il primo pezzo si occupa di reti e infrastrutture, il secondo dei servizi: terzo il consiglio che autorizza e vigila.
Non importa che nelle tlc rete e servizio siano la stessa cosa, che trasmettere film sia ben diverso che connettere telefoni: nel mondo separato delle comunicazioni la logica e’ unica, e’ quella che protegge la Rai e contiene Mediaset. Alla fine: Mediaset dovra’ vendere un rete, e Rai restera’ tutta pubblica, con una rete senza pubblicita’ in partecipazioni con le Regioni, e con il canone spalmato su tutto. Stet über alles.
Era sembrato, dopo la sconfitta elettorale del ’94, che la sinistra abbracciasse l’idea che, per imporre limiti piu’ stringenti al duopolista privato, anche la Rai dovesse soggiacervi . Per questo si era avanzata l’ipotesi di distinguere in Rai una rete commerciale, senza canone, da dismettere, mantre un’altra sostenuta dal solo canone, doveva trasformarsi in rete regionale. Il lavorio ai fianchi della sinistra operato dal partito Rai ha evidentemente dato i suoi frutti: sparita ogni ipotesi di dismissione, resta la proposta di rete federale, aperta pero’ alla controffensiva di chi manterrebbe unito ed uguale a se stesso il carrozzone Rai. E veniamo ai nostri famosi “tetti”.
Nessuno puo’ avere piu’ del 20% delle reti via etere nazionali, nessuno piu’ del 30% della pubblicita’. Che cosa se non nascono cinque (pardon quattro) imprenditori? Qualsiasi atto, intesa o concentrazione sara’ punita. Un’ azienda piu’ brava delle altre si espande? Se cio’ avviene “spontaneamente” si vedra’, ma se per caso un’imprenditore lo fa intenzionalmente, peggio per lui e per Schumpeter. Una cosa e’ certa : la Rai e’ fuori da questi limiti. Infine, una curiosita’: la storia della televisione italiana ha trovato, ad ogni appuntamento importante, un uomo del Pri. Inizio’ Ugo La Malfa, con il divieto della Tv a colori, poi vennero Mammi’, Bogi e ora Maccanico.
Chi si amareggia nel contrastare i non entusiasmanti risultati , si chiede se non sarebbe stato meglio difendere i principi e lasciare ad altri il mediare tra gli interessi.

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