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Caro Governatore Draghi, le banche forti camminano da sole

Pubblicato il 23/02/2006 @ 13:31 in Giornali,Vanity Fair

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da Peccati Capitali

Evitare il protezionismo «alla Fazio» senza favorire gli «invasori» stranieri: ecco la sfida per il nuovo capo della Banca d’Italia

Il primo obbiettivo, ricostituire il capitale di credibilità di Banca d’Italia, Mario Draghi l’ha centrato con poche mosse: gli averi apportati a un blind trust, l’astensione per non coinvolgere la Banca in polemiche su conflitti di interesse, un codice etico, chiusura di antiche controversie. E la bandiera al balcone. Il secondo, ricostituire il capitale umano, richiederà tempi lunghi: in Via Nazionale, se non dal vertice, si entra solo dal basso. Erano questi gli obbiettivi di quelli per cui la priorità era il mandare a casa Fazio: a Draghi è stato facile accontentarli.

Le cose sono meno semplici per quanti sostenevano la priorità di cambiare le regole in virtù delle quali Fazio ha, legittimamente, tenuto sotto controllo il sistema bancario modellandone gli assetti proprietari secondo un suo personale disegno. Con la legge sul risparmio, Banca d’Italia condivide il potere antitrust con l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. Si volta pagina: ma la storia è tutta da scrivere.

Tanto per cominciare, il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, dichiara l’intenzione non solo di sanzionare, da arbitro, comportamenti anticoncorrenziali, ma di promuovere, da allenatore, quelli pro-concorrenziali: un interventismo speculare a quello rimproverato a Fazio. “ A fin di bene”, naturalmente.

I nostalgici dell’ancien régime agitano lo spauracchio: senza un po’ di “sano” protezionismo, tutte le nostre banche finiscono una dopo l’altra in mano allo straniero. Argomento errato per difetto: perché è stato proprio il protezionismo a rendere le nostre banche – escluso il solito Unicredit- piccole e inefficienti; e perché sono i tanti conflitti di interesse a rendere complesso il problema. Conflitti e intrecci sono inevitabili ovunque, ma da noi hanno raggiunto proporzioni abnormi: le banche sono proprietarie dei fondi di investimento, degli intermediari finanziari, della Borsa, hanno partecipazioni rilevanti nelle nostre principali imprese, indirettamente o direttamente nei principali giornali.. Sono questi viluppi a rendere apparentemente senza via d’uscita l’alternativa secca: o perdere la concorrenza con il protezionismo, o perdere il controllo col liberismo.

Schematica è anche la netta divisione dei ruoli tra vigilanza e antitrust: la vigilanza può avere essa pure un ruolo importantissimo nel promuovere la concorrenza. Ad esempio, è chiaro che non c’è tanta concorrenza tra banche, se tutte si sono ristrutturate senza licenziare, pur di evitare conflitti con i sindacati. E ancora: la Banca d’Italia ha sempre coperto le banche: non solo, con toni sprezzanti (“poche persone, pochi soldi”), negli scandali Cirio Parmalat Argentina, ma non si ha memoria di suoi interventi per sanzionare comportamenti discutibili, a volte truffaldini, verso i clienti. Mai un trader punito, mai un’obbiezione alle obbligazioni meno trasparenti, neanche da parlare di sostegni ai clienti per azioni di risarcimento.

Una vigilanza che non prenda come regola il lavare i panni sporchi in famiglia evidenzia le differenze tra banche, le spinge alla concorrenza, le rende più efficienti, dunque meno facile preda. E sciogliere alcuni intrecci permette di giudicare la convenienza di aggregazioni bancarie in base alle attività svolte e non alle partecipazioni possedute.

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