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Cari Amato e Capaldo, con la patrimoniale volete un default politico

Pubblicato il 08/02/2011 @ 11:14 in Giornali,Il Foglio


La patrimoniale sembra, per il momento, respinta: quella “vera”, cioè l’operazione di finanza straordinaria, per tagliare con una botta secca lo stock del debito, non quella dello stesso nome, ma di finanza ordinaria, per modificare la composizione del flusso delle imposte, tassando anche il patrimonio oltre il reddito, in costanza (si vuol sperare) di pressione fiscale. Anche se sul Sole 24 Ore di domenica scorsa Giuliano Amato è tornato a parlarne e la scorsa settimana anche Pellegrino Capaldo è intervenuto di nuovo sul tema con una lettera sul Corriere della Sera.

Respinta non vuol dire debellata: bisogna insistere sui caratteri costitutivi della patrimoniale secca, indipendentemente dagli aspetti di sostenibilità, praticabilità, equità, effetti sull’economia propri delle varianti in cui può venir proposta. Questo carattere appare chiaro paragonando la patrimoniale all’altro modo di dare un botta secca al debito: il default.
In entrambi i casi, il debito dello stato si riduce istantaneamente di una misura identica alla riduzione della ricchezza privata. Con il default, controparte sono i creditori, cui viene modificato o il valore facciale del titolo, o la sua scadenza, o il tasso; con la patrimoniale, controparte sono i cittadini, di cui lo stato si dichiara creditore. Il default colpisce tutti i creditori indipendentemente dalla loro nazionalità; la patrimoniale colpisce solo i contribuenti nazionali.
La ristrutturazione del debito pubblico impone che per un po’ non si emetta altro debito, lo stato è costretto a funzionare con un avanzo primario, il risanamento è obbligatorio. Dopo una patrimoniale, nessuno impone una disciplina che impedisca di ripetere le politiche che hanno creato il debito (anzi in alcune delle proposte è addirittura un modo per poter spendere). Con i creditori, i governi devono negoziare, e accettare la penitenza che viene loro imposta. Con i cittadini cercano di convincerli, fino a fargli credere che sono loro a dover fare penitenza.
Il fascismo, al punto più alto del consenso, eccitando il risentimento contro le sanzioni, convinse gli italiani a dare l’oro alla Patria: il 18 dicembre 1935, tra milioni di fedi nuziali e qualche Collare dell’Annunziata incamerò 40 tonnellate d’oro. Adesso serpeggia l’idea che in fondo questa sia la restituzione di qualcosa di dovuto, per una “rendita non guadagnata”, per un aumento di valore di cui si è approfittato, per una tassazione ordinaria elusa. A quando i flagellanti chiederanno di pagare per espiare l’avere troppo a lungo tollerato Silvio Berlusconi e i suoi governi?
C’è da sperare che questa gran discussione sia servita a predisporre le difese. Contro queste mistificazioni bisogna tenere il punto: la patrimoniale secca, in qualsiasi variante sia presentata, dimensionata o diluita, è di per sé l’equivalente politico di un default.

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di Francesco Forte – Convegno Fondazione Riformismo e Libertà, 18 febbraio 2011

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