Attenti alle nuove regole

novembre 4, 2001


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Dopo l’11 settembre i rischi di un nuovo protezionismo

«Più regole contro il mercato selvaggio», titola La Stampa, riportando il pensiero di Romano Prodi; «Mercato, ideologia sconfitta», riassume il Corriere il pensiero di Giuseppe De Rita (in entrambi i casi forzando un po’…). Dall’11 settembre è stato un ritorno in forze di chi, in nome di Keynes, auspica il ritorno dello Stato nella gestione diretta di attività economiche; o di chi, in nome del nuovo Nobel Joseph Stiglitz, se la prende con i fallimenti del mercato. Nel disorientamento e nella paura, scatta sempre l’istinto di chiedere ai propri governanti non solo informazioni corrette e decisioni sagge, ma protezione sicura.

In questi momenti, ritornano i miraggi suscitati da visioni meccanicistica del mercato e costruttivistica della politica: sarebbe un disastro lasciarsi sedurre, e arretrare rispetto a quanto sembrava, soprattutto nell’ultimo decennio, acquisito. È questo il rischio che si corre quando si parla di «mercato selvaggio», di «regole» che si dovrebbero imporre, anzi di «ripensare tutto il sistema delle regole». Perché se non si precisa di quali regole si tratti e di chi dovrebbe imporle, del tema finiscono con l’appropriarsi solo, che so?, i patiti della Robin Tax, o in generale tutti quelli che vogliono mettere freni alla globalizzazione e vincoli alle liberalizzazioni. Diverso è se si parla, ad esempio, del convegno di Laeken, dove sul tavolo ci sarà un dossier preparato proprio dalla Commissione europea sui rapporti pubblico/privato nei servizi pubblici: le regole dovranno dare più o meno concorrenza, più o meno privato? Diverso è se si parla della prossima riunione del Wto a Doha. L’Europa ha avanzato 14 proposte, di cui 13 a favore dei paesi in via di sviluppo, si presenta dunque come campione di liberalizzazione dei mercati a fronte degli Usa che invece, negli ultimi anni, hanno preferito ricorrere ad accordi bilaterali tra Stati, anziché al sistema, ben più efficace per promuovere gli scambi, degli accordi multilaterali. Sempre gli Usa hanno recentemente introdotto dazi sull’acciaio per proteggere le proprie maestranze, mentre alcuni Pvs temono che l’abbattimento delle tariffe sui prodotti finiti spiazzi le loro produzioni meno competitive. Ma che dire delle «regole» che l’Europa ha steso a proteggere la sua agricoltura, che conta supporti politici ben più solidi dei pittoreschi esemplari che invia alle manifestazioni no-global? Regole benvenute, dunque: ma regole tutte che sono volte a correggere i fallimenti dello Stato, non quelli del mercato. Regole per ridurre il potere dei governi sulle attività economiche. Chi meglio di Romano Prodi sa quanto sia difficile vincere le resistenze delle coalizioni di interessi e gli egoismi nazionali? La posta in gioco è ben altra cosa dell’imposta di successione: Romano Prodi ne lamenta l’eliminazione ma sa bene che il suo gettito era di qualche centinaio di miliardi l’anno. Proprio chi ricorda che la crescita assoluta del reddito non è tutto, e che subito dopo viene anche la riduzione delle diseguaglianze, deve indicare nel protezionismo degli Stati e non nella globalizzazione dei mercati il nemico che le «regole» devono imbrigliare. Anche per scongiurare che ancora una volta, come già avvenne 30 anni fa, il protezionismo metta in ginocchio il mondo: allora, per uscirne, ci volle una generazione.

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