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Alitalia, il governo eviti scambi sottobanco

Pubblicato il 20/07/2008 @ 14:18 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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“Alzi la mano chi non sarebbe pronto a sottoscrivere quote dell’Alitalia!” aveva chiesto sorridendo divertito Silvio Berlusconi ai Giovani di Confindustria a Santa Margherita: e loro avevano risposto tenendo le braccia rigorosamente conserte. Le loro quote, “basse o simboliche”, secondo La Stampa del 14 Luglio, confluiranno in una “sub-newco”, mentre nella “newco principale ci saranno gli azionisti più  importanti (Benetton, Gavio, Ligresti) con quote a tre cifre”.

Su quelle “basse o simboliche” resta la curiosità di sapere se le sottoscriveranno gli azionisti o le aziende: da “mercatista” non pentito continuo a credere che la vera “azione patriottica” delle aziende sia quella di generare profitti, e che in Italia oggi, come nella Cacania di Musil un secolo fa, le “azioni parallele” tocca alle persone farle.
Per quanto riguarda invece le quote “pesanti” conviene fare qualche ragionamento. Ragionamento preventivo, dato che, ufficialmente, sfide non sono state né lanciate né raccolte, e di cui anticipo la conclusione: il Presidente del Consiglio deve non solo evitare di chiedere, ma dichiarare che per Alitalia non accetterà contributi finanziari da parte di gruppi con attività che dipendono significativamente dal potere pubblico, centrale o locale.

E’ questo proprio il caso dei tre grandi industriali citati. Due di essi, Benetton e Gavio, controllano aziende la cui profittabilità dipende da “contratti” con l’amministrazione. Il perché di quelle virgolette, semmai non lo sapessero, l’hanno appreso in occasione della vicenda Autostrade-Abertis: lo Stato può considerare carta straccia quella su cui ha apposto i suoi sigilli, e in più arrogarsi il diritto di ricatto, imponendo, con il famoso art.12, di firmare la convenzione tipo pena il decadimento della concessione. Anche restando nella normalità, tra livello qualitativo delle opere, varianti, ampliamenti, tempi di esecuzione, infiniti sono gli oggetti di possibile contenzioso.
Le imprese che fanno a capo a Salvatore Ligresti hanno rilevanti attività nel campo immobiliare, sia fondiario e edilizio. E non è neppure il caso di ricordare quanto questa attività dipenda dai rapporti con i decisori pubblici: che in questo caso la controparte sia prevalentemente regionale o comunale nulla leva alla sostanza.

Questi non sono giudizi di valore, sono fatti, per così dire ontologicamente veri. Per le aziende, descrivono le attività che svolgono; per la mano pubblica, i poteri di cui dispone e l’uso che ne ha fatto in tempi recenti. ( Per tempi meno recenti, neppure lì mancano gli esempi.) Questo non è un giudizio sulla validità industriale della soluzione della vicenda Alitalia. Ma sostenere che i Giovani di Confindustria e gli azionisti più importanti dimostrano interesse per la prospettiva di un buon affare, questo davvero non lo crede nessuno; certo dimostrano di non crederlo gli altri imprenditori, italiani e stranieri, nessuno dei quali preme per acquistare i diritti di opzione. Non c’è nulla da fare: non ci sarà capacità mediatica, non giuramento, non carisma personale che varrà a levare dalla testa della gente che questa operazione si regge su uno scambio di favori. Perché ciò che conta, come diceva Bastiat, non è ciò che si  vede, il salvataggio, ma ciò che non si vede, la contropartita.

L’opposizione finora rimpiange “les neiges d’antan”, oppone i meriti della soluzione promossa dal precedente Governo a quella voluta dall’attuale. Evidentemente l’avere per anni tuonato e girotondato sul conflitto di interessi di Berlusconi, sostenendo che si penalizzava l’azienda pubblica Rai, per servire l’interesse  privato di Mediaset, ha obnubilato la capacità di riconoscere un conflitto d’interessi ben più pericoloso, perché meno controllabile dall’opinione pubblica, e perché ben più “contro natura”: quello che si manifesta quando si chiede al privato di  "salvare" un’azienda pubblica, agitando la bandiera e l’onore del  Paese.
 
La congiuntura rappresenta un rischio formidabile per un Governo, come quello di Berlusconi, che è stato creduto nella sua scommessa per la crescita e il benessere, e che ora oscilla tra visioni catastrofiche su cui nulla si può e misure populiste che possono poco. E’ illusorio sperare che i tagli vengano tutti finanziati dall’eliminazione di inefficienze ed abusi: è proprio il settore dei servizi quello in cui, tra livello delle prestazioni e la rivelazione di inefficienze e degli scandali, si rasenta l’esasperazione.  Il Presidente del Consiglio sa l’importanza che ha l’immagine e la credibilità. Non può sprecare nulla con operazioni poco trasparenti. Per questo nella vicenda Alitalia deve dichiarare che non accetterà contributi finanziari da aziende la cui attività dipenda dal potere pubblico, centrale o locale. E’ vero che poche aziende potranno essere rigorosamente fuori, ma sappiamo bene che, se tutti siamo uguali di fronte alla pervasività dello statalismo, alcuni lo sono di più.

In questi momenti, molti si chiedono che cosa si potrebbe concretamente fare per fare uscire dalla grave situazione in cui ci troviamo. E’ più facile indicare, montalianamente, le cose che bisogna non fare. Perdere anche solo un’oncia di credibilità è una di quelle. Non se lo possono permettere i grandi gruppi industriali, non se lo può permettere lo Stato, non se lo può permettere il Paese.

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