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Al telefono con Franco Ferraresi

Pubblicato il 01/05/1995 @ 15:04 in Varie


Franco Debenedetti intervista Franco Ferraresi

D: I risultati delle recenti elezioni regionali ci hanno descritto un’Italia spaccata in due in termi­ni di orientamenti politici: centro destra e centro-sinistra. Secondo lei, Professor Ferraresi, è un’Italia al bivio o un’Italia che ha sbattuto contro il muro e non riesce ad andare né a destra né a sinistra? Questo stallo nasconde una domanda di centro e caso mai una nostalgia per il ruolo e la funzione assolta storicamente dalla DC?

R: Ci troviamo veramente a mio giudizio in una fase di transizione e di riaggregazione complessiva del sistema politico aperta a molte soluzioni. Mentre il raggruppamento di destra e centro destra appare ormai piuttosto omogeneo e delineato, almeno per quanto riguarda le forme di alleanza politica, il gruppo di sinistra e centro sinistra rappresenta una realtà molto più fluida.

Nel caso in cui Prodi si dimostrasse in grado di esprimere una leadership capace di conciliare un arco abbastan­za vasto di forze, .è probabile che risucchierebbero lo spazio del centro: ma se questo non si verificasse diven­terebbe comodo tornare alla pigrizia mentale del passato e sperare che compaia uno schieramento di centro capace di mediare le opposte alternati­ve. Proprio da questo punto di vista è importante, secondo me, che Prodi mantenga fin da ora un ancoraggio molto solido con la sinistra moderata e con il PDS in particolare: non condivi­do l’ipotesi di Segni di ridurre l’ulivo ad un partito di centro. L’idea politica di fondo, poi, dovrebbe essere l’elabo­razione di un programma credibile che lasci il minor spazio possibile ai partiti­ni e ai giochi politici, che vada al di là della politica di schiera-me n t o. Non a caso Berlusconi sta accu­sando Prodi di agire diver­samente, di essere subalterno a D’Alema. Prodi dovrebbe affermare con grande energia le proprie proposte programmatiche e accettare il confronto solamente su questa.

D: La divisione è anche in termini territoriali: tre macro regioni tre comportamenti elettorali. Quali sono secondo lei le relazioni tra la dimensione territoriale e il com­portamento di voto?

R: Tali relazioni sono certamente importanti e significative per quanto riguarda l’Italia centrale, saldamente in mano alla sinistra, e per buona parte dell’Italia meridionale, in cui l’insedia­mento di destra è fuori discussione. Personalmente sono rimasto molto impressionato dal risultato elettorale del Lazio, una regione in cui Andreotti e Sbardella fino a poco tempo fa raccoglievano una grandissi­ma quantità di preferenze.
Per quanto riguarda il Nord, invece, la mia impressione è che assegnarlo fin d’ora alla destra sarebbe un po’ prematuro. Al Nord esiste una sinistra disaggregata che risulta nettamente sconfitta dal punto di vista assemblare, non altrettanto dal punto di vista elettorale: in Piemonte e in Lombardia la somma dei voti della sinistra non alleata supera o quanto­meno eguaglia i voti della destra.

D: Arriviamo dunque alla situa­zione piemontese e alla candidatu­ra Picchetto: sembra fallito il ten­tativo di conquistare il voto mode­rato. Il “doppio voto”, poi, a diffe­renza che in altri luoghi, non ha avuto alcuna influenza sull’elettorato leghista e di Rifondazione. C’è qualcosa in particolare, secon­do lei, che non ha funzionato, oppure si tratta semplicemente di un risultato prevedibile, specie se paragonato con le sconfitte in Veneto e Lombardia?

R: Il doppio voto può diventare signifi­cativo solo nella misura in cui ci si trovi in presenza di un sistema elettorale a doppio turno: in questo caso era preve­dibile che avesse una scarsa rilevanza. Personalmente sono convinto che i pro­blemi di Pichetto fossero legati anche alla fragilità dell’organizzazione eletto­rale e al fatto che la sua candidatura sia emersa in maniera tardiva. Per quanto riguarda il risultato elettorale del Pie­monte, non si può non tener conto del fatto che la nostra regione è una roc­caforte storica di Rifondazione Comuni­sta. In realtà la sinistra ha recuperato in zone storicamente a lei legate: mi pare significativo il ritorno a sinistra di certe aree in cui Meluzzi aveva avuto succes­so, sebbene tutto ciò denoti un tasso di volubilità elettorale molto rilevante.

D: Quali conseguen­ze possono avere, Professore, i risultati del voto e la frammentazione territoriale sulle politiche del governo e sulle scelte programmatiche della destra e della sinistra in vista delle prossime elezioni?

R: Mi pare significativo che si sia verifica­to, soprattutto in parte dell’ex elettorato della destra berlusconiana, una specie di risveglio di fronte alla vanità delle pro­messe di Berlusconi: è un segnale del fatto che una politica basata su concrete proposte programmatiche paga.
Proprio per questo motivo ritengo che la preoccupazione principale da parte della sinistra ora debba essere quella di fare dei programmi chiari, che ten­gano duro su alcune linee di principio e formulino proposte credibili sui pro­blemi concreti, come la riforma delle pensioni, il riordino della pubblica amministrazione, le privatizzazioni. Proprio sulle privatizzazioni, ad esempio, è importante sfidare Berlusconi: occorre metterlo in difficoltà su questo terreno teoricamente a lui più conge­niale e insistere sulla mancanza di programmi e di iniziative che ha avuto nei mesi in cui è stato Pre­sidente del Consiglio.

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