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Al telefono con Arnaldo Bagnasco

Pubblicato il 20/11/1994 @ 16:32 in Varie


Intervista di Franco Debenedetti a Arnaldo Bagnasco

D: Professor Bagnasco, in ter­mini di nuovi schieramenti politici e di regole elettorali siamo ancora nell’incertezza. Quale potrebbe essere, secondo lei, la “via piemontese” alla creazione dei due principali schieramenti alternativi?
R.: Per rispondere a questa prima domanda è opportuno adottare un atteggiamento prospettico: osservan­do con attenzione i recenti avveni­menti elettorali – sia a livello ammi­nistrativo che politico – scopriamo in tutta la Pianura Padana e in generale nel Nord Italia un cleavage politico che non è stato abbastanza evidenziato.

Esiste una grande differenza tra il risultato del voto nelle capitali regionali e nelle grandi città (Torino, Genova, Venezia, Trieste) che mostrano un quadro elettorale complesso e variegato – e nelle me­die o piccole città – che sono diventa­te terra di conquista della Lega e in generale della destra. La specificità della capitale Torino nei confronti del resto della società piemontese è un dato che riguarda tutte le regioni del Nord e che, in prospettiva elettorale, va valutato con attenzione.

D.: Tenendo conto di queste osservazioni, da che parte dovrebbe cominciare la Sinistra per creare un’aggregazione elet­torale vincente in vista delle prossime elezioni Regionali?
R.: È necessario tener conto del fatto che sta avvenendo, nei sistemi politi­ci di tutta Europa, una ripre­sa di quel­lo che i politologi chiamano l’ “asse ter­ritoriale” in contrappo­sizione al cosiddetto “asse funzionale”. Sebbene continuino ad essere importanti il modo di organizzazione sociale dell’economia e altre variabili di questo tipo, esse tendono altresì a ricomporsi secondo specifi­che dimensioni territoriali. Io credo perciò che per ricostruire una politica di sinistra in Piemonte occorre partire da una certa idea del Piemonte e del suo spazio nell’eco­nomia e nella società nazionale. Questa forma di regionalismo è molto più fondata dei regionalismi “culturalisti” di cui abbiamo avuto molti esempi negli ultimi anni e che sono riferiti prevalentemente al passato: essa riguarda infatti sia differenze pre­cedenti, sia differenze nuove, non tanto dal punto di vista culturale, quanto dal punto di vista di forme di economia diversamente organizzate e di aspetti della mediazione politica che appartengono a società differenti.

D.: Del resto, mentre sembra relativamente facile immaginare a livello cittadino aggregazioni politiche nuove che sap­piano intercettare e interpreta­re questi filoni, a livello regio­nale appare già più difficile e a livello nazionale disperante.
R.: Attualmente la società italiana sta diventando molto più complessa di una volta e non è quindi facile da parte di un partito o di un movi­mento politico riaggregare una domanda politica molto differenzia­ta. I grandi filoni di aggregazione tradizionali – legati a prospettive ideologiche e fondati su apparte­nenze religiose o di classe facil­mente definibili – a seguito di queste trasformazioni non sono più propo­nibili. Le difficoltà dell’attuale Governo nazionale possono essere spiegate con il fatto che esso è rappresentativo della società italiana e delle sue molteplici sfaccettature, e ha parecchie difficoltà a gestire una situazione di questo genere. Un regionalismo ben temperato com­porterebbe dei vantaggi sia per la gestione delle società regionali, sia per la gestione della politica nazio­nale nel suo complesso. Esso avrebbe infatti, da un lato, la fun­zione di aggregare nel luogo pro­prio differenze specifiche di inte­ressi e cultura e, dall’altro, quella di portare a livello nazionale una politica maggiormente riaggregata e dunque maggiormente gestibile.

D.: In conclusione, Professore, quali temi specifici la sinistra dovrebbe seguire e interpretare in un discorso che riguardi il Piemonte e dunque le prossime consultazioni elettorali?
R.: Una società complessa come il Piemonte deve avere il coraggio di battere strade nuove che siano però legate al proprio passato e alle risorse di cui dispone. Con alcune cautele, dunque, uno dei filoni aggreganti potrebbe essere quello del destino della grande industria e della capacità di organizzazione industriale, che il Piemonte possiede in larga misura. Il mondo sociale, politico, culturale e sindacale della grande industria, che una volta pensavamo si sarebbe esteso a tutta l’Italia e che invece attraversa oggi un travaglio e una fase di trasfor­mazione, questo mondo, con le sue tensioni interne e le sue differenze sociali, ha bisogno di rappresen­tanza. Pro­prio per­ché esiste il rischio concreto che diven­ti solo più una specie di “riserva indiana”!

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