Aiutare, non uccidere

ottobre 6, 2005


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il_riformista
EDITORIALE

Noi siamo favorevoli al testamento biologico, al principio secondo il quale l’individuo e il malato cosciente possono manifestare e ottenere il rispetto della propria volontà contraria a forme di accanimento terapeutico. E’ un principio pienamente coerente con la logica liberale del rispetto dell’individuo, nonché compatibile con la dottrina della Chiesa. Basti ricordare a come Giovanni Paolo II manifestò egli per primo, il proposito che i medici che lo seguivano si astenessero dal protrarre un’agonia che avrebbe potuto solo essere volta a mantenere funzioni vitali attraverso la necessaria cooperazione di macchine extracorporee. Detto questo, naturalmente, è un atto delicato la precisa definizione di quali siano i protocolli clinici tali da poter essere specificamente compresi nella serie di quelli che il malato può ricusare ex ante.
La decisione adottata a maggioranza dal Comitato nazionale di bioetica – escludere dalla serie di trattamenti ricusabili l’alimentazione forzata – è secondo noi comprensibile e persuasiva. L’alimentazione forzata tramite sondino, assimilabile al diritto a nutrirsi, non può essere accostata al diritto a digiunare di un sano. Per il semplice fatto che una piena assimilazione delle due fattispecie porta alla conclusione di accogliere l’ipotesi del diritto al suicidio per fame. Mentre il no all’accanimento terapeutico ha a che vedere con il rispetto della dignità e della libertà del malato, ma non ha niente a che vedere con il diritto al suicidio, che è difficile comprendere nel novero dei diritti incoercibili dell’uomo.
A questa impostazione si può obiettare che nella pratica clinica molto spesso la soluzione idrosalina attraverso la quale avviene la nutrizione e l’idratazione forzata in realtà non è affatto distinta dai principi attivi farmacologici somministrati al paziente in coma per stabilizzarne le condizioni, e dunque è discutibile respingere la distinzione tra principi nutritivi e trattamenti terapeutici. Ma si tratta di un’obiezione speciosa: che nella flebo si proceda per soluzioni uniche non significa affatto che fini e sostanze somministrate siano diverse per composizione e per fine. Diversa è invece l’obiezione di chi ritiene che a tutti gli effetti il testamento biologico possa essere esteso sino a forme di vera e propria eutanasia attiva, e dunque in quel caso pienamente comprendente anche il termine da porsi all’alimentazione. Noi siamo e restiamo contrari non per la convinzione – che lasciamo alla fede di ciascuno e che comunque rispettiamo – che la vita si identifichi con il soffio divino in ogni sua manifestazione umana. Ma per la frontiera – per noi invalicabile – tra libera manifestazione del diritto a vivere con dignità, e desiderio inaccoglibile di togliersi la vita. Essa è un bene in sé che la collettività è tenuta non a imporre in ogni modo a chi ne gode o ne soffre dopo averla avuta in sorte, ma quanto meno per tentare di impedire che venga meno per disperazione o debolezza di chi non avrebbe più, in seguito, occasione di ripensare la propria scelta.

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