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Adesso si tratta di dire sì all’Onu

Pubblicato il 21/02/2004 @ 10:45 in Varie

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“Chiedi un voto di pace”: ho ricevuto centinaia di mail con questo identico appello. Come i miei colleghi; e come era già successo nel 2003.

“Chiedi un voto di pace”: ho ricevuto centinaia di mail con questo identico appello. Come i miei colleghi; e come era già successo nel 2003. Come allora, risponderò individualmente a tutti. Ma questa volta intendo anche rispondere pubblicamente, dalle colonne dell’Unità. Questo perché la situazione é radicalmente diversa da allora: in Irak e in Italia.

Allora si trattava di decidere se mandare i nostri soldati in Irak; oggi si decide se ritirarli. Allora si discuteva se partecipare attivamente a un’operazione che molti condannavano in quanto sprovvista dell’avallo dell’ONU; oggi si decide se aiutare a implementare una mozione dell’ONU.
Personalmente non ho mai nascosto la mia convinzione che l’Occidente avesse il dovere, non solo il diritto, di reagire al terrorismo islamico, per proteggere le leadership moderate di quei paesi, che sono il vero obbiettivo del terrorismo; e che la Francia abbia commesso un grave errore politico nel sospingere gli USA verso l’unilateralismo. So bene che queste non sono le posizioni della maggioranza del mio partito e dello schieramento politico in cui mi colloco, e ho votato in conformità alle decisioni assunte dal gruppo.
Ma oggi questa differenza di opinioni é irrilevante rispetto alla scelta che dobbiamo prendere. Oggi in Irak non c’è guerra: quale sarebbe il nemico? Ci sono atti di terrorismo diffuso, ad opera o di fazioni locali in lotta tra di loro, o di terroristi provenienti da altre aree del Medio Oriente: vogliamo lasciare a loro la gestione della transizione? Oggi in Irak non é vero che “tutte le infrastrutture civili sono esposte all’abbandono e al saccheggio”, che nulla funziona, anzi é vero il contrario: ma fosse pure vero ciò che afferma l’appello, vogliamo lasciare il paese in mano ai gruppi etnici e religiosi in lotta tra di loro e ai terroristi in lotta con tutti? Oggi non é vero che la popolazione irachena sta peggio di quanto stava sotto un dittatore che, nei 15 anni in cui é stato al potere, ha ammazzato in media 340 persone al giorno: ma fosse pure vero ciò che dice l’appello, vogliamo lasciare divampare in Irak una vera guerra civile, finché si imponga la fazione più forte, oppure finché il Paese sia spartito tra etnie e sette religiose?
Le dittature, quando finiscono, finiscono di solito in disordini tremendi, sovente in bagni di sangue. E’ successo nei Balcani, in Ruanda, nel Congo, in Liberia, sta succedendo ad Haiti. In ritardo, sovente invano, si invoca l’intervento dell’ONU, della Nato, degli USA. Sarebbe successo con la fine della dittatura di Saddam, una delle più sanguinose dell’ultimo mezzo secolo.
Non ci sono ragioni, né politiche né morali, per ritirare oggi le nostre truppe. Ci sono ragioni morali e politiche per dimostrare che il Paese é unito dietro i propri soldati: basta pensare che la spaccatura del Parlamento sarebbe immediatamente letta dai terroristi che operano in Irak come un segno di debolezza, un invito a muovere un altro attacco ai nostri soldati, per forzarne il ritiro, conseguendo un risultato di grande valore emblematico. Il che non significa essere dietro la conduzione di politica estera del Governo Berlusconi.
Io sono un parlamentare di un partito, i DS; e scrivo sul giornale che, come tutti i giorni, nel colophon, ricorda di essere il quotidiano dei gruppi parlamentari dei DS al Senato, a cui appartengo, e alla Camera. Per le ragioni esposte, una forza politica che chiedesse di ritirare le nostre forze si squalificherebbe per sempre come forza di governo. Quella del no, é una posizione ideologica, forse morale, non politica: perché la politica si preoccupa di che cosa fare dopo, mentre non c’é nulla dopo il no, senza se e senza ma. Il nostro partito, i DS, di cui questo giornale é espressione, ha preso la decisione di astenersi sulla votazione: su questa decisione, sostenuta in riunione di gruppo dal segretario del partito, e dal capogruppo al Senato, é confluita una larga maggioranza, anche superando difficoltà personali. Le defezioni motivate non come fatti individuali di coscienza, e presentate come posizione politica di una minoranza interna, hanno dato un’immagine distorta di dissidio interno: l’immagine sugli organi di informazione é stata pessima.
Ora si va al voto alla Camera, dove il regolamento, a differenza del Senato, non obbliga alle contorsioni della non partecipazione al voto pur restando in aula. Una decisione difforme da quella sostenuta dal Segretario e assunta dal gruppo del Senato, peggiorerebbe in modo disastroso la nostra immagine politica. Il nostro partito ha stipulato con Margherita e SDI un accordo politico per battere Berlusconi nelle urne delle elezioni europee e mettere così le premesse per batterlo alle politiche. Sarebbe un delitto disperdere il patrimonio di credibilità che ci siamo conquistati con la realizzazione della lista unica e le speranze che abbiamo suscitato negli elettori italiani.

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