A Follini (e a Fini) conviene stare alla larga da Berlusconi

aprile 22, 2005


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

il_riformista
CONSIGLI. ASSET ELETTORALI

«Se perde lui», aveva detto l’avvocato Agnelli commentando la discesa in campo del Cavaliere «perde lui solo; se vince lui, vinciamo tutti». Penso che una versione aggiornata di quella battuta frulli di questi giorni per il capo a Follini (e a Fini): «Se vince lui, vince lui solo; facciamo in modo che, se perde, non si perda tutti». Puntare sulla vittoria della Casa delle libertà alle prossime elezioni è azzardato per chiunque: per Follini (e Fini ) è anche rischioso.

Infatti, per avere qualche speranza di vincere, è necessario sia tenere compatta la coalizione, sia offrire ai propri elettori le attenzioni che si aspettano: un compito quasi impossibile, defatiganti equilibrismi, quotidiani compromessi, ancor più faticosi quando le risorse sono così limitate. Se non si può vincere a un gioco, meglio cambiare gioco. Per Follini (e Fini) potrebbe convenire spostare il traguardo di cinque anni, e saltare un giro; sfruttare tutto il tempo di questa legislatura non per agguantare un’improbabile vittoria nel 2006, ma per rafforzarsi in vista del 2011. Follini (e Fini) possono contare su una rassicurante certezza: comunque vada, sotto il 45% il centrodestra non andrà mai. L’Italia mica è la Basilicata! Lo dicono ragioni per così dire fisiologiche – l’Italia è un paese di destra, riconobbe un giorno Massimo D’Alema; e ragioni strutturali – perché lì porta la dialettica del maggioritario. Se il centrodestra perde, se il sogno con cui Berlusconi ha convinto la maggioranza degli italiani (compreso il Governatore Fazio) si rivela un’illusione, dove andranno i voti che rifluiranno da Forza Italia se non là da dove sono venuti, e cioè agli eredi della Dc? Questo mette nelle mani di Follini (e di Fini) un formidabile asset. Una strategia a cui perfino il succedere di papa Ratzinger a papa Wojtyla sembra offrire il conforto di una conferma: se è vero che la missione sembra essere meno missionaria, e più teologica e pastorale, e l’obiettivo meno l’espansione con il massimo di esposizione, e più il consolidamento con il massimo di rassicurazione.

«Il fantasma del ceto medio è riapparso in politica», scrive Giuseppe De Rita sul Corriere di ieri; suggerendo un’interpretazione delle regionali in termini di riflusso di persone – lavoratori dipendenti, commercianti, piccoli e buoni imprenditori – «tutta gente che vorrebbe, preferirebbe essere rassicurata, piuttosto che spinta a nuove avventure». Se questo è il quadro, per Follini (e per Fini) è preferibile la prospettiva di essere confinati in posizione marginale da un Berlusconi che la vittoria nel 2006 renderebbe tanto più arrogante quanto più essa è improbabile, o quella di usare fino all’ultimo giorno tutto il tempo che resta, occupandosi solo di distinguersi, di definire la propria identità, di predisporsi a quella che appare una raccolta senza neppure la fatica della mietitura?
«Voterebbero al centro, se potessero» dice De Rita dei ceti medi di cui ha descritto le paure; «ma se devono scegliere sembrano orientarsi su obiettivi quasi bertinottiani». Ma dato che è chiaro che assecondando quelle paure, offrendo porti sicuri anziché sospingendo a nuove scoperte, il paese declina inesorabilmente, al centrosinistra si prospetta una grande opportunità: una responsabilità storica al prezzo di non piccole difficoltà politiche, che verrebbero probabilmente esasperate da una campagna elettorale lunga un anno. Né è questa la sola ragione per cui il centrosinistra ha tutto l’interesse a che si vada a votare quanto prima possibile. Se si andasse a votare l’anno prossimo, si moltiplicherebbero le spinte a metter mano alle finanze pubbliche pur di non perdere. Toccherà a noi dire no: se è un allenamento in vista del governo, meglio che duri poco.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: