«Perchè Balmas ignora i mecenati dell’arte?»

gennaio 25, 1998


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Al Regio, l’altra sera, non mi sono scandalizzato per le acclamazioni a Majer e per il sostegno a Balmas: i teatri lirici da sempre vivono anche di questi scontri, ben venga se direttori artistici e sovrintendenti eccitano passioni già riservate alle dive; ma non ho partecipato ai cori. Allo stesso modo, ho letto le interviste di Giorgio Balmas e di Elda Tessore; e non pensavo di intervenire nella discussione. Ma c’è un frase del sovrintendente del Regio che apre un delicato problema politico.

Alla domanda su che cosa ne pensasse dei progetti di ingresso dei privati nella Fondazione del Regio, Balmas testualmente risponde: «Mi piace anche perché rimarrà primario il contributo statale come garanzia culturale: se si ragiona solo in termini di profitto, il rischio è che si facciano mille Traviate e nessun Affare Makropulos»,
Fin dalle loro origini i teatri hanno vissuto grazie al mecenatismo dei principi; il teatro non si presta alla riproducibilità tecnica, proprio nell’essere ogni recita un evento a sé sta il suo fascino. Credo che non esista teatro lirico che sopravviva senza un qualche sussidio pubblico; ma che non ci sia teatro lirico in cui oggi non si mobiliti il mecenatismo dei privati, chiedendo proprio ad essi, non al contributo statale, di fornire «garanzia culturale».
Giorgio Balmas vanta una straordinaria esperienza nell’organizzare eventi musicali, anche nell’inventarli. I torinesi che dalla loro gioventù frequentano l’Unione Musicale, che hanno visto nascere Settembre Musica, che ricordano eventi memorabili come l’anno di Boulez, hanno per Balmas ammirazione e gratitudine. E sono di ancora più colpiti quando il sovrintendente del Regio finge di ignorare così clamorosamente ciò che accade intorno a lui. Citando a caso: le novità, di testi, di attori e di regie, che caratterizzano il cartellone del teatro dell’opera di Zurigo, dove Alexander Pereíra riesce a coprire, tra botteghino e sponsor, oltre il 50% delle spese. O il festival di Salisburgo — quello dominato, secondo i maligni, dagli interessi delle case discografiche — che quest’anno propone opere come Mahoganny (nota, ma non certo di repertorio), Katia Kabanova, Re Ruggero di Szimanowsky, il S. Francesco di Messiaen.
Gli estimatori di Balmas si chiedono perché il sovrintendente al Regio finga di non ricordare che uno dei periodi più luminosi
della nostra vita culturale, i cui echi ancora si riverberano dopo tre quarti di secolo, fu il Teatro di Torino, dovuto alla privatissima iniziativa di Gualino, con Guido Gatti e Gui: Richard Strauss e i balletti russi non erano, all’epoca, opere di repertorio.
Il sovrintendente del Regio non può ignorare che è invece proprio la mediazione politica a spingere a non rischiare sul nuovo, ad appiattirsi sulle scelte meno controverse e a ricercare il successo percorrendo le collaudate strade della tradizione. Le cronache della Rai di questi giorni non consentono dubbi su cosa concretamente sia la «garanzia culturale», la «esigenza del servizio pubblico»; anche lì, solo una rapida privatizzazione riuscirebbe a salvare l’ente pubblico dal costoso disastro cui inevitabilmente va incontro. Il gusto, l’inventiva, la capacità organizzativa di Giorgio Balmas non sono in discussione. Ma Balmas è oggi sovrintendente di un teatro che si apre al mecenai ismo ed all’iniziativa dei privati. Se la frase citata non fosse dovuta a una estemporanea reazione, se non si limitasse a testimoniare fedeltà ideologica a sorpassati pregiudizi, ma esprimesse una posizione poliica, e di una parte politica, allora si aprirebbe un problema.
Sta al sindaco Castellani verificare, e garantire, che i propositi anifestati da Balmas siano compatibili con la visione e la determinazione necessarie per portare a termine la trasformazione della struttura di governo del Regio.

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