«Caro Dini, lei lo sa questa manovra non potrà bastare»

dicembre 2, 1994


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero


Signor Ministro,

la definizione «tecnico pre­stato alla politica», mi è sempre parsa in sé un po’ ambigua. Chi è dotato di grande sapere specifico sce­glie la politica, oltre che per una legittima ambizione, per la convinzione che la tecnica fornisce lo strumen­to per sapere le cose, ma è la politica a fornire lo stru­mento per realizzarle. Que­sta scelta comporta una con­tinua tensione, quella che mi sembra di leggere nella sua espressione concentrata e severa. E riconduco alla sua storia ed alla sua esperienza la durezza di certe sue precisazioni.

Per questo, quando ho letto il piano in sei punti illustra­to dal Prof. Andreatta, ho subito pensato a Lei: un pia­no che, attraverso il rientro nello Sme, la convergenza con gli obbiettivi di Maastri­cht, e con un grado di reali­smo fiscale che finora al Go­verno è mancato, mira dirit­to ad annullare quel diffe­renziale sui tassi di interessi che comporta un onere im­proprio di 80.000 Mld l’an­no, cui si devono aggiungere i 46.000 Mld pagati dal si­stema delle imprese.

Ho pensato a Lei perché mi azzardo a immaginare che tante e tante volte cercando i modi per ridurre questo tremendo onere, anche a Lei sarà venuta in mente una soluzione analoga, e an­che a Lei sarebbe piaciuto avere la libertà di poterla proporre. Le soluzioni, do­potutto, non sono tante, cer­te idee sono nell’aria. Lei della storia recente è stato non solo spettatore, ma atto­re: con ogni probabilità non è sua la colpa se il Governo di cui è membro Le ha con­sentito di attestarsi a difesa di un solo intervento struttu­rale, quello sulle pensioni, che, in assenza di altri cor­rettivi più equi, finisce per farLa apparire un cinico, in­differente agli effetti dei ta­gli che propone.

I suoi colleghi, chi per aver la politica praticata a lungo, chi per non averla praticata affatto, possono più di Lei sottilmente destreggiarsi tra i compromessi o spensierata­mente inseguire i sogni. Un suo collega (Martino) fa un’audace dichiarazione sul­la nostra posizione in Euro­pa, un altro (Tremonti) giu­ra sull’intoccabilità dello strumento fiscale, altri (Fio­ri, ad esempio) disinvolta­mente occupano posizioni: e Lei automaticamente ne cal­cola le conseguenze su que­sto nostro malandato bilan­cio, che faticosamente cerca di tenere insieme. Agli altri l’invidiabile leggerezza di poter inseguire (un po’ in or­dine sparso, ne converrà) i propri obbiettivi politici, a Lei la pesante fatica di cal­colarne le conseguenze eco­nomiche.

Per questo credo che non Le abbia fatto piacere leggere ieri le proposte del Prof. An­dreatta: non perché le riten­ga non praticabili in assolu­to, ma per saperle difficil­mente praticabili da Lei: ora almeno. Lei sa bene che condizione del progetto An­dreatta è un rigido conteni­mento dell’inflazione, e che ciò si ottiene solo con un va­sto accordo sociale.

Spero che Lei mi perdonerà se mi son preso la libertà di attribuirLe pensieri miei. Nei prossimi giorni, ci trove­remo, Lei autorevolmente al banco del Governo, io su quelli dell’opposizione: forse è improprio il modo di chie­derlo, non certo improprie sono quella sede e quella oc­casione per farci sapere che cosa Lei pensi davvero in­torno alle misure aggiuntive alla Finanziaria che l’Euro­pa ci ha già chiesto, che An­dreatta — per la parte meno disattenta delle opposizioni — articola, e che Lei per pri­mo, nella sua coscienza, sa essere irrinunciabili.

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