Intervista di S. Riz.
«Che ci voglia un’integrazione industriale, lo hanno detto tutti. Che il piano della Fiat debba essere credibile è ovvio». E dopo queste considerazioni, il senatore Franco Debenedetti si pone una domanda: «Ma con chi va discusso il piano?».
Forse con gli azionisti…
«Con gli Agnelli da soli, no di certo».
E perché mai?
«Il governo non può consentire agli Agnelli di ristrutturare la Fiat con i soldi pubblici in vista di un’integrazione con la Opel che sarà gestita successivamente dalla General Motors. Gli Agnelli hanno un interesse legittimo, ma non possono essere loro i garanti».
Chi, allora?
«Le banche italiane hanno già un forte impegno nel gruppo: potrebbero essere loro a garantire che la ristrutturazione dell’auto non sia doppia. E il miglior garante è. chi ha più professionalità specifica. Il governo ha davanti a sé non solo chi vende e chi compera, ma un triangolo di cui le banche sono uno dei tre vertici».
Gli altri due?
«Gli Agnelli e la General Motors. E sono fermamente convinto che il piano di risanamento vada discusso, da subito, con chi gestirà l’integrazione dell’auto».
Cioè con gli americani?
«Del triangolo fanno parte anche loro. E poi le ristrutturazioni non sono tutte uguali. C’è Nord e Sud, progettazione e assemblaggio. Anche i tagli si possono fare in alto o in basso. La Ford New Holland, un’azienda da 6 miliardi di dollari, con 20 stabilimenti in 4 continenti, Riccardo Ruggeri la gestiva con una “testa” di 25 persone».
Una dichiarazione di fiducia?
«Per essere fiduciosi bisogna avere un terreno solido sul quale poggiare i piedi. Credo che sia nell’interesse della Fiat e quindi del Paese capire se questo è un buco che può essere colmato per ripartire, certo con un’azienda ridimensionata, probabilmente senza l’auto, ma profittevole, oppure una fornace che brucia inutilmente risorse: degli azionisti e del Paese. Producendo, alla fine, solo cenere».
ottobre 11, 2002